13 Set estorsione
Il reato di estorsione, disciplinato dall’articolo 629 del codice penale, si configura quando un soggetto, mediante violenza o minaccia, costringe un altro a fare o ad omettere qualcosa, procurandosi così un ingiusto profitto con altrui danno, ed è qualificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come un delitto plurioffensivo che lede contemporaneamente la libertà morale della persona, la sua sfera patrimoniale e, in senso più ampio, la sicurezza e l’ordine pubblico economico; per la sua integrazione sono necessari tre elementi: la condotta tipica, costituita dall’uso della violenza (fisica o psichica) o della minaccia (espressa o implicita) idonea a coartare la volontà della vittima; l’evento, rappresentato dal danno patrimoniale della persona offesa, che si traduce in una diminuzione del suo patrimonio o in un arricchimento indebito altrui; e l’elemento soggettivo del dolo specifico, ossia la coscienza e volontà di costringere la vittima con l’intento di procurarsi un profitto ingiusto; sotto questo profilo la giurisprudenza ha chiarito che il profitto deve essere non solo economicamente apprezzabile ma anche “ingiusto”, vale a dire privo di un titolo giuridico legittimo, come evidenziato da Cass. pen., sez. II, 9 marzo 2017, n. 11581, secondo cui commette estorsione anche chi, pur vantando un credito effettivo, ricorre a mezzi violenti o minacciosi per ottenerne il pagamento, poiché in tal caso il fine di tutela del diritto è perseguito con modalità vietate dall’ordinamento; la pena prevista è la reclusione da cinque a dieci anni e la multa da 1.000 a 4.000 euro, aumentabile in presenza di aggravanti specifiche quali l’uso di armi, la commissione da parte di più persone riunite, il carattere mafioso dell’attività estorsiva o la minorata difesa della vittima, e in tali ipotesi si innestano anche le disposizioni di cui all’art. 7 del D.L. 152/1991 (c.d. legge antimafia), che prevede un aggravamento sanzionatorio per i delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di stampo mafioso; il reato si distingue dalla rapina (art. 628 c.p.) perché, mentre quest’ultima comporta una sottrazione immediata e violenta del bene, l’estorsione implica la cooperazione forzata della vittima che, sotto minaccia, esegue volontariamente l’atto dispositivo (si pensi al commerciante che, sotto intimidazione, consegna denaro o firma cambiali), ed è diverso anche dalla violenza privata (art. 610 c.p.), che non richiede l’elemento del profitto; la natura del reato è permanente, poiché la sua consumazione si protrae finché perdura lo stato di costrizione e non fino al singolo atto dispositivo, come chiarito da Cass. pen., sez. II, 15 maggio 2014, n. 19695, con effetti importanti in tema di decorrenza della prescrizione e individuazione del tempus commissi delicti; l’estorsione può essere punita anche a titolo di tentativo (art. 56 c.p.), quando la condotta violenta o minacciosa, pur idonea, non riesce a piegare la volontà della vittima o non produce l’atto dispositivo, come stabilito da Cass. pen., sez. II, 3 giugno 2009, n. 23090; dal punto di vista criminologico, essa è una delle principali fonti di finanziamento delle organizzazioni criminali, in particolare di stampo mafioso, che ne hanno fatto un sistema strutturale di controllo economico e sociale, attuato nella forma del cosiddetto “pizzo”, ossia la richiesta sistematica di somme di denaro agli imprenditori e commercianti in cambio di una fittizia “protezione”: emblematici i casi affrontati dalla giurisprudenza siciliana e calabrese, dove la Corte di Cassazione ha ribadito che la reiterazione di richieste estorsive ai danni di più soggetti integra il delitto di estorsione aggravata e non di semplice minaccia; un esempio tipico è l’imprenditore costretto a versare somme periodiche a un clan mafioso per poter lavorare in tranquillità, ma la prassi mostra anche forme più subdole di estorsione, come minacce velate di ritorsioni commerciali, atti intimidatori come incendi o danneggiamenti di beni, e persino pressioni psicologiche indirette, tutte modalità riconosciute dalla Cassazione come idonee a integrare il reato, in quanto capaci di incidere sulla libertà di autodeterminazione della vittima; si deve inoltre ricordare che il reato è procedibile d’ufficio, data la sua gravità, e che negli ultimi decenni il legislatore ha introdotto strumenti specifici di contrasto, come le leggi antimafia che consentono l’uso di intercettazioni, collaboratori di giustizia, sequestri e confische patrimoniali, proprio per colpire i profitti illeciti derivanti dalle attività estorsive; emblematiche sono state anche le campagne istituzionali e associative (ad esempio quelle di “Addiopizzo” a Palermo), che hanno favorito la denuncia da parte delle vittime e contribuito a rendere più efficace l’azione repressiva dello Stato; in definitiva, l’estorsione si presenta come un reato complesso e multiforme, capace di manifestarsi tanto nella criminalità organizzata quanto nella microcriminalità, con gravissime conseguenze per le vittime e per l’economia legale, e per questo rappresenta una delle fattispecie più rilevanti e maggiormente contrastate nell’ambito del diritto penale italiano contemporaneo.