20 Set bancarotta
Il reato di bancarotta costituisce il nucleo centrale della disciplina penale fallimentare nell’ordinamento italiano ed è disciplinato dalla Legge Fallimentare del 1942, che prevede una pluralità di figure volte a proteggere l’integrità del patrimonio dell’imprenditore insolvente e la par condicio creditorum. Le principali tipologie sono la bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, la bancarotta preferenziale e la bancarotta semplice: la prima punisce condotte dolose quali distrazioni, occultamenti, distruzioni o falsificazioni contabili, ed è sanzionata con pene gravi e interdizioni accessorie; la seconda riguarda i pagamenti o le operazioni che privilegiano alcuni creditori a danno degli altri; la terza, invece, si riferisce a comportamenti imprudenti o negligenti dell’imprenditore che aggravano il dissesto e prevede pene più lievi. Dal punto di vista soggettivo, la bancarotta fraudolenta richiede il dolo, che può essere generico (nelle condotte patrimoniali, ove basta la consapevole volontà di depauperare i beni) o specifico (nelle ipotesi documentali, dove è necessaria la finalità di impedire la ricostruzione del patrimonio o di arrecare pregiudizio ai creditori). La bancarotta semplice, al contrario, si configura come reato colposo, richiedendo un atteggiamento di grave negligenza. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha avuto un ruolo fondamentale nel precisare i confini applicativi di tali fattispecie: le Sezioni Unite, con la sentenza n. 21039 del 2011, hanno affermato che le diverse condotte di bancarotta poste in essere nell’ambito dello stesso fallimento non si fondono in un unico reato, ma conservano la loro autonomia dando luogo a un concorso formale, sebbene poi la legge preveda un meccanismo speciale di unificazione della pena. In materia di bancarotta documentale, la Cassazione ha progressivamente ristretto l’area del dolo, affermando che la mera mancanza o incompletezza delle scritture non basta per integrare la fattispecie fraudolenta: è necessario accertare un dolo specifico, ossia la volontà dell’agente di impedire la ricostruzione della situazione patrimoniale e arrecare danno ai creditori, come ribadito anche da decisioni recenti (ad esempio, la sentenza n. 8921 del 2024). In altri arresti, la Corte ha chiarito che la distrazione non si limita all’appropriazione materiale di beni, ma comprende qualsiasi utilizzo per fini estranei all’impresa, bastando, in tali casi, il dolo generico consistente nella consapevolezza e volontà della condotta. La giurisprudenza ha poi esteso la responsabilità anche agli amministratori di fatto, ai sindaci e ai liquidatori, qualora esercitino poteri gestori o di vigilanza, e ha ribadito che, in tema di bancarotta documentale, l’ostacolo alla ricostruzione patrimoniale non deve essere assoluto, ma può consistere anche in una grave difficoltà determinata dalle irregolarità. Per quanto riguarda la bancarotta preferenziale, la Corte ha chiarito che la fattispecie si realizza non solo nei pagamenti monetari, ma anche in operazioni equivalenti, come compensazioni o transazioni che favoriscono alcuni creditori a danno della massa, anche se effettuate poco prima della dichiarazione di fallimento. La dottrina, dal canto suo, ha sviluppato un ampio dibattito attorno a questi temi, discutendo se la bancarotta debba essere considerata un reato complesso o un concorso di reati, quale sia il bene giuridico effettivamente protetto (se il patrimonio in sé o la garanzia dei creditori), se il dolo eventuale possa rilevare in alcune ipotesi e quali siano i criteri per applicare le attenuanti e circoscrivere l’ambito punitivo. Nel complesso, la disciplina della bancarotta si configura come un istituto complesso e poliforme, che cerca di bilanciare l’esigenza di rigore e tutela dei creditori con quella di garantire che la sanzione penale colpisca soltanto le condotte effettivamente offensive, dolosamente orientate al danno e non le semplici irregolarità gestionali.