omesso versamento di iva

La fattispecie penale dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto rappresenta una delle principali ipotesi di reato tributario previste dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e trova la sua specifica disciplina all’art. 10-ter, introdotto con il d.lgs. n. 223 del 2006 (cd. decreto “Visco–Bersani”) e successivamente modificato da interventi legislativi che ne hanno calibrato la soglia di punibilità e l’ambito applicativo. La disposizione punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta. La fattispecie si caratterizza come reato omissivo proprio, in quanto il soggetto agente è il contribuente titolare dell’obbligo di versamento dell’imposta dichiarata, e come reato istantaneo, consumandosi con il mero decorso del termine fissato dalla legge senza che l’adempimento tributario sia stato effettuato.

La ratio della norma risiede nell’esigenza di tutelare l’interesse erariale alla riscossione effettiva delle entrate tributarie, ma anche di presidiare il corretto funzionamento del sistema impositivo fondato sulla dichiarazione periodica e sul successivo adempimento spontaneo. Non si tratta, quindi, di una fattispecie di frode o di artificio, bensì di un’ipotesi di inadempimento consapevole, in cui l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di non effettuare il versamento entro il termine di legge. La giurisprudenza di legittimità, in particolare con la sentenza della Corte di Cassazione penale, Sezioni Unite, n. 37424 del 28 marzo 2013, ha precisato che il dolo non richiede la finalità di evasione, né la prova di un intento fraudolento, essendo sufficiente la volontà consapevole dell’omissione, anche se determinata da difficoltà economiche o da scelte gestionali dell’imprenditore. Tuttavia, la stessa Corte ha riconosciuto che le difficoltà finanziarie non imprevedibili o non imputabili al soggetto agente possono incidere sulla colpevolezza, ove sia dimostrata l’impossibilità assoluta di adempiere, non derivante da colpa o da mala gestio.

In tal senso, la giurisprudenza ha tracciato una linea di demarcazione tra la semplice crisi di liquidità, ritenuta irrilevante ai fini dell’esclusione del dolo, e la vera e propria impossibilità incolpevole di adempiere, che può assumere valore scriminante, purché adeguatamente provata e non frutto di scelte imprenditoriali negligenti o speculative. L’imputato, pertanto, può invocare l’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p. solo qualora dimostri di aver posto in essere tutte le azioni possibili per reperire le risorse necessarie, senza riuscirvi per cause indipendenti dalla sua volontà.

La struttura oggettiva del reato si fonda su tre elementi: la presentazione della dichiarazione annuale IVA, l’esistenza di un debito superiore alla soglia di punibilità, e il mancato versamento entro il termine fissato per l’acconto del periodo d’imposta successivo. La presentazione della dichiarazione è condizione essenziale, poiché solo attraverso di essa si concretizza il presupposto di conoscibilità dell’imposta dovuta e si distingue l’omesso versamento penalmente rilevante dall’omessa dichiarazione di cui all’art. 5 del medesimo decreto. Il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare non il mancato pagamento in sé, ma la violazione dell’obbligo di versamento di un debito d’imposta già dichiarato, cioè già riconosciuto dal contribuente. La soglia di 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta, introdotta con il d.lgs. n. 158 del 2015, risponde a un criterio di offensività selettiva, limitando la rilevanza penale ai casi di maggiore gravità e lasciando alla sfera amministrativa quelli di minore entità.

Sotto il profilo temporale, la consumazione del reato coincide con la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo all’anno successivo, individuato generalmente al 27 dicembre dell’anno successivo a quello di riferimento. Pertanto, se il contribuente effettua il pagamento anche tardivo prima di tale termine, il reato non si perfeziona; viceversa, il versamento successivo alla scadenza ha solo effetti riparatori e può essere valutato ai fini del trattamento sanzionatorio o dell’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 n. 6 c.p., ma non esclude la punibilità.

La giurisprudenza successiva alle riforme del 2015 ha inoltre affrontato la questione del concorso formale e materiale tra l’art. 10-ter e l’art. 10-bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate), ribadendo che le due fattispecie hanno ambiti oggettivi e soggettivi distinti e non sovrapponibili, in quanto la prima concerne l’IVA, imposta indiretta, mentre la seconda si riferisce a ritenute dirette operate dal sostituto d’imposta. Si è poi chiarito che il reato di omesso versamento IVA non può essere confuso con l’illecito amministrativo di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, che sanziona l’inadempimento privo del requisito quantitativo o della soglia penalmente rilevante.

Dal punto di vista dottrinale, la natura del reato è stata oggetto di ampio dibattito. Parte della dottrina ha sottolineato la sua natura di “reato di mera condotta”, in cui l’offesa si realizza con la violazione dell’obbligo legale di versamento, indipendentemente dall’effettivo pregiudizio per l’erario, giacché la somma non versata resta comunque dovuta e recuperabile attraverso gli strumenti coattivi previsti dalla legge tributaria. Altri autori, invece, ne evidenziano la componente di pericolo concreto per l’interesse fiscale, ravvisando nell’omesso versamento un comportamento idoneo a compromettere la funzione redistributiva e la stabilità del bilancio pubblico. Un ulteriore filone dottrinale, infine, ha posto l’accento sulla tensione tra la finalità repressiva del diritto penale tributario e il principio di proporzionalità della sanzione, sottolineando come l’art. 10-ter, nella prassi, finisca spesso per punire condotte colpose mascherate da dolo generico, specie nei casi di imprese in crisi.

La Cassazione, in più occasioni, ha escluso che l’intervenuto fallimento o la crisi d’impresa possano di per sé escludere la responsabilità penale, a meno che non sia dimostrata l’impossibilità assoluta di adempiere, ribadendo che l’imprenditore ha l’obbligo di garantire la priorità del pagamento dei tributi rispetto ad altre voci di spesa discrezionali. In particolare, la sentenza n. 38684 del 2014 ha chiarito che la crisi di liquidità non integra forza maggiore, ma può rilevare solo ai fini del giudizio di gravità del dolo o della dosimetria della pena.

Sul piano sanzionatorio, la pena detentiva prevista, da sei mesi a due anni, consente l’applicazione di istituti alternativi, come la sospensione condizionale della pena o la non menzione, ma non prevede la possibilità di oblazione. Tuttavia, l’art. 13-bis del d.lgs. n. 74/2000 ha introdotto una causa di non punibilità per i reati tributari da omesso versamento qualora il debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi, venga integralmente estinto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Tale previsione, di natura sostanzialmente premiale, mira a incentivare il ravvedimento operoso e a ridurre la pressione penale sui procedimenti di minore gravità, spostando l’asse del sistema verso una logica di recupero delle risorse più che di punizione punitiva.

L’interpretazione sistematica dell’art. 10-ter va dunque collocata nel più ampio contesto del diritto penale tributario, che tende a bilanciare le esigenze di tutela dell’erario con i principi di offensività e proporzionalità della pena. La Corte costituzionale, pur non essendo mai intervenuta direttamente sulla legittimità della norma, ha più volte ribadito, in casi analoghi, la necessità che le incriminazioni tributarie rispettino il principio di colpevolezza e di necessaria offensività, evitando che la sanzione penale si riduca a mero strumento di pressione fiscale. In tale ottica, l’omesso versamento IVA continua a rappresentare una fattispecie paradigmatica della tensione tra l’efficienza della riscossione e la sfera di responsabilità individuale del contribuente, confermandosi uno dei temi più delicati e dibattuti nella giurisprudenza e nella dottrina penal-tributaria contemporanea.