intercettazioni

Secondo quanto stabilito dal combinato disposto dei novellati artt. 268 comma 4, 269 C.p.p. e 89-bis disp. att. C.p.p., i verbali e le intercettazioni, unitamente ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato le stesse, sono conservati presso il recentemente introdotto archivio digitale tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica.
Proprio a seguito del deposito dei summenzionati atti presso l’archivio digitale, il codice di procedura penale fa sorgere in capo al pubblico ministero l’obbligo di discovery dei risultati delle intercettazioni; sono in particolare gli articoli 268, 415-bis, 454 e 293 C.p.p. a regolare i differenti e alternativi meccanismi che consentono ai difensori di esaminare quanto depositato nell’archivio di cui all’articolo 89-bis disp. att. C.p.p. L’articolo 268 comma 6 C.p.p. primo periodo, così come novellato dal D.L. n. 161/2019, regola uno dei possibili meccanismi di discovery degli atti, laddove prevede che, salvo il grave pregiudizio delle indagini, in seguito al deposito deve essere dato avviso ai difensori delle parti della facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni, ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche entro il termine fissato dal pubblico ministero. Rispetto a quanto stabilito ante-riforma, la disposizione in questione presenta un unico aspetto di novità, legato sostanzialmente alla necessità di adattare le previsioni del codice all’avanzamento tecnologico dei tempi; com’è logico aspettarsi, coerentemente con l’istituzione dell’archivio digitale, le facoltà date ai difensori delle parti dovranno essere esperite « per via telematica »Se da un lato risulta cer tamente apprezzabile l’emendamento attuato in sede di conversione del D.L. n. 161/2019 volto ad ampliare i soggetti legittimati all’avviso, originariamente individuati nei soli « difensori dell’imputato », per altro verso non si può che prendere mestamente coscienza della mancata previsione della facoltà per i difensori di estrarre copia degli atti visionati, confermata anche dalla Legge di conversione n. 7/2020. A parere di chi scrive, una tale menomazione del diritto di difesa non appare in alcun modo condivisibile. Neppure una eventuale ratio fondata sulla tutela della privacy dei soggetti coinvolti nelle operazioni di intercettazione giustificherebbe la scelta del legislatore del 2019 di non colmare il vulnus normativo già presente nel codice del 1988, quale è la mancata previsione del diritto per i difensori di ottenere copia dei files visionati (rectius: ascoltati); risulterebbe fortemente pregiudizievole nei confronti dei difensori il timore che questi ultimi possano illecitamente diffondere le copie contenenti informazioni riservate dei soggetti intercettati, senza considerare il fatto che tale preoccupazione potrebbe essere arginata, se non addirittura elisa, da meccanismi alternativi rispetto a quelli che comprimono il diritto di difesa. A tal riguardo, vi soccorre ad esempio il recentemente introdotto comma 2-bis art. 114 C.p.p. che, vietando la pubblicazione, anche parziale, delle intercettazioni non acquisite, impedisce la diffusione a mezzo stampa delle informazioni riservate e custodite presso l’archivio digitale di cui all’art. 269 C.p.p.. Soprattutto in considerazione della facoltà per i difensori di indicare ulteriori registrazioni ritenute rilevanti nella c.d. Udienza Stralcio di cui si tratterà in seguito, a nostro parere appare fortemente pregiudizievole del diritto di difesa limitare il diritto di copia degli atti esaminati solo quando questi siano stati trascritti (ex art. 268 comma 8 C.p.p.), ovvero acquisiti (ex art. 89-bis comma 4 disp. att. C.p.p.); per le ragioni sovra esposte non rimane che auspicare una lettura costituzionalmente orientata della norma, se non addirittura una riforma che preveda in maniera espressa tale facoltà. La seconda disposizione che si occupa di disciplinare il primo contatto della difesa con gli atti delle intercettazioni è contenuta nel recentemente introdotto comma 2-bis art. 415-bis C.p.p.; secondo questo nuovo comma infatti, qualora non si sia proceduto ai sensi dell’art. 268 commi 4, 5 e 6, l’avviso di conclusione delle indagini per reati iscritti a partire dal 1 settembre 2020 dovrà contenere l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno la facoltà di esaminare per via telematica gli atti depositati presso l’archivio delle intercettazioni ed estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero. Entro 20 giorni dalla notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis c.p.p., il difensore può inoltre depositare l’elenco di ulteriori registrazioni ritenute rilevanti all’ufficio di procura e, qualora il Pubblico Ministero dovesse rigettare tale istanza5, il difensore è legittimato a richiedere al Giudice di procedere nelle forme di cui all’art. 268 comma 6 c.p.p. Com’è stato evidenziato dal Parere del CSM sul D.L. n. 161/2019, sorgono non poche perplessità in relazione alla ristrettezza dei termini stabiliti dal Legislatore; soprattutto laddove il materiale delle intercettazioni dovesse essere cospicuo, appare irrisorio il termine di 20 giorni entro cui il difensore è vincolato ad esaminare gli atti ed eventualmente poi produrre l’elenco delle ulteriori intercettazioni. Ci si domanda infine quale sia la soluzione nel caso in cui il Pubblico Ministero ometta di depositare formalmente gli atti di intercettazione nell’archivio a seguito dell’avviso di cui all’art. 415-bis; l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte con la Relazione n. 35/20206, al fine di rispondere al presente quesito, ha enunciato i due principali e antitetici orientamenti in tema di intempestivo deposito di elementi di prova. Secondo una prima tesi più risalente nel tempo7, il mancato deposito tempestivo di un elemento di prova determinerebbe non già la nullità del rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, quanto l’inutilizzabilità del singolo atto, tranne nei casi di acquisizione dell’atto in un momento successivo all’avviso di conclusione delle indagini preliminari e prima del rinvio a giudizio, ovvero di indagine integrativa ex art. 419, comma 2 C.p.p., e suppletiva ex art. 430 C.p.p.; a questo orientamento se ne contrappone uno più recente8, secondo cui l’omesso deposito degli atti di indagine contestualmente alla notifica dell’avviso di cui all’art. 415-bis C.p.p. determina una nullità di ordine generale a regime intermedio per violazione delle prerogative difensive (ex art. 178, lett. c) C.p.p.). L’assunto su cui si fonda la seconda tesi è costituito dal fatto che in tale ipotesi non si verifica alcuna delle cause di inutilizzabilità di cui all’art. 271 C.p.p., essendo state le operazioni di intercettazioni legittimamente eseguite, ma si assiste piuttosto ad una violazione del procedimento dovuta all’omessa selezione e acquisizione delle stesse al fascicolo del dibattimento, eccepibile a richiesta di parte. Il legislatore del 2019 si è altresì premurato di disciplinare la discovery degli atti di intercettazione anche nel caso di giudizio immediato; all’articolo 454 C.p.p. è stato infatti introdotto il comma 2-bis che prevede l’obbligo in capo al pubblico ministero di depositare l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni dei flussi unitamente alla richiesta di giudizio immediato nel caso in cui non abbia proceduto ai sensi dell’art. 268 commi 4, 5 e 6 C.p.p. . Il nuovo comma affida al difensore le stesse facoltà garantite dall’art. 415-bis comma 2-bis; la difesa può dunque depositare al Pubblico Ministero l’elenco delle ulteriori intercettazioni ritenute rilevanti e di cui si chiede copia, e presentare altresì, in caso di rigetto o contestazioni dell’organo dell’accusa, istanza al Giudice affinché si proceda nelle forme di cui all’articolo 268 comma 6 C.p.p.. Giova rilevare l’aggiunta al comma 2-bis, attuata in sede di conversione del D.L. n. 161/2019, del quarto periodo che legittima il difensore a richiedere una proroga di 10 giorni, oltre ai 15 canonici, entro cui poter esercitare le facoltà summenzionate. In estrema sintesi quindi, in caso di giudizio immediato, il termine finale entro cui la difesa può depositare l’elenco delle ulteriori intercettazioni ritenute rilevanti, ovvero richiedere il procedersi nelle forme di cui all’articolo 268, comma 6 C.p.p., è di 25 giorni dalla notifica di cui all’articolo 456, comma 4 C.p.p.; a parere di chi scrive, risulta incomprensibile la scelta operata dal legislatore in sede di conversione del D. L. n. 161/2019 di non prevedere la facoltà per il difensore di richiedere la proroga anche nel caso di cui all’art. 415-bis comma 2-bis C.p.p., lasciando così inalterato il termine di 20 giorni, paradossalmente più compresso rispetto a quello previsto nel caso di giudizio immediato. In tema di applicazione di una misura cautelare, gli aspetti di novità relativi alle intercettazioni risultano essere principalmente due, e concernono rispettivamente il procedimento applicativo della misura, e le facoltà del difensore in seguito all’avvenuta notifica dell’ordinanza che applica la misura cautelare. In particolare, in sede di conversione del D.L. n. 161/2019, il legislatore ha previsto l’obbligo in capo al Pubblico Ministero di indicare al Giudice i verbali di cui all’articolo 268 comma 2 C.p.p. su cui si fonda la richiesta di applicazione di una misura cautelare, «limitatamente alle comunicazioni o conversazioni rilevanti e comunque conferiti nell’archivio di cui all’art. 269 »9. I brani allegati nella richiesta dall’accusa al Giudice devono essere quindi rilevanti, così come espressamente richiesto dalla norma, e devono essere depositati nell’archivio digitale. Dal dettame normativo, si deduce che la pubblica accusa possa allegare anche solo i c.d. brogliacci di ascolto, non essendo previsto l’obbligo di presentare le registrazioni delle comunicazioni intercettate. A corollario della richiesta del pubblico ministero e in linea con la Sentenza della Corte Costituzionale 10 ottobre 2008, n. 336, il novellato articolo 293, comma 3 C.p.p. prevede la facoltà in capo al difensore di «esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate » poste dall’accusa a fondamento della richiesta di applicazione della misura, nonché di ottenere la trasposizione delle registrazioni su idoneo supporto. Come auspicato, la Legge 28 febbraio 2020, n.7, ha modificato la previsione originariamente prevista dal Disegno del D.L. n. 161/2019 volta a sopprimere le facoltà per il difensore di esame e di copia dei verbali introdotte dal D. Lgs. n. 216/2017, ed ha ripristinato così in pieno il diritto di difesa, particolarmente rilevante e incisivo nel delicato momento cautelare. Giova infatti ricordare che in caso di applicazione di una misura cautelare, il diritto all’ascolto diretto e alla copia delle intercettazioni sono prerogative incomprimibili, la cui violazione dà luogo ad un’ipotesi di nullità a regime intermedio La seconda parte dell’art. 268 comma 6 C.p.p. prevede che, una volta scaduto il termine fissato dal pubblico ministero entro cui i difensori dell’imputato possono esaminare per via telematica gli atti e ascoltare le registrazioni, il Giudice « dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicate dalle parti, che non appaiano irrilevanti, procedendo anche d’ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza ». Il D.L. 161/2019 riprende quasi in toto la disciplina prevista ante-riforma, rinnegando quindi la scelta operata dal legislatore del 2017 di rendere solo eventuale l’udienza di stralcio: il D. Lgs. n. 216/2017 infatti prevedeva in via principale che il G.I.P. acquisisse con ordinanza le intercettazioni non manifestamente irrilevanti indicate dalle parti a seguito di un’udienza camerale non partecipata. Con la novella del 2019 invece, le “parti” hanno il diritto di essere avvisate almeno 24 ore prima dell’udienza così da potervi partecipare, ed hanno l’onere di presentare al giudice le conversazioni e/o i flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire in udienza. Nel caso in cui l’udienza di stralcio intervenga nel corso delle indagini preliminari, le sole parti che hanno il diritto di parteciparvi sono la pubblica accusa e l’indagato, non essendo la persona offesa dal reato una parte processuale in senso stretto; qualora invece, la l’udienza di stralcio dovesse intervenire in un momento successivo alla udienza preliminare e la persona offesa si sia costituita parte civile, si deve ritenere che anche questa abbia il diritto di parteciparvi. Rispetto a quanto previsto ante-riforma, le principali novità della c.d. Udienza Stralcio sono due: innanzitutto, il legislatore ha inciso sulla sfera delle registrazioni oggetto di acquisizione che, per i procedimenti penali iscritti dal 1 settembre 2020 in avanti, dovranno essere « non irrilevanti », non essendo più prevista la non manifesta irrilevanza; in secondo luogo, il novellato comma 6 dell’art. 268 c.p.p. amplia i poteri del giudice consentendogli di procedere d’ufficio allo stralcio non solo delle conversazioni inutilizzabili11, ma anche di quelle riguardanti « categorie particolari di dati personali », salvo che non ne sia dimostrata la rilevanza. Seppure il legislatore non fornisca una definizione di « dati personali », questa può essere ricavata in via indiretta dall’art. 268 comma 2 C.p.p., disposizione che impone all’accusa di non trascrivere le conversazioni lesive della reputazione di una persona e quelle aventi ad oggetto dati personali definiti come sensibili dalla legge. In quest’ultimo caso, spetta al soggetto che intende far acquisire l’intercettazione concernente i dati personali dimostrare al giudice non già la non irrilevanza, bensì la rilevanza ai fini del procedimento attraverso l’allegazione di elementi specifici ed idonei a dimostrare la necessità della comunicazione in questione al thema probandum. Come precedente affermato, si procede all’udienza di stralcio anche nelle ipotesi in cui il difensore chieda di procedersi nelle forme di cui all’art. 268 comma 6 c.p.p. a seguito del diniego del pubblico ministero all’acquisizione di ulteriori registrazioni ritenute rilevanti nei casi di cui all’art. 415-bis comma 2-bis ovvero 454 comma 2-bis c.p.p. A mente di quanto previsto ante-riforma, una volta conclusasi l’udienza di stralcio il giudice dispone la trascrizione ovvero la stampa in forma intellegibile delle intercettazioni ammesse, «osservando le forme, i modi e le garanzie previste per l’espletamento delle perizie » (art. 268 comma 7 c.p.p.), e dette trascrizioni o stampe sono inserite nel fascicolo del dibattimento di cui all’art. 431 c.p.p. . Il D.L. n. 161/2019, in un’ottica di economia processuale, specifica poi che la perizia trascrittiva può essere disposta dal giudice « anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431 », legittimando così il G.U.P. a nominare il perito anche a seguito dell’udienza preliminare, in modo da anticipare la perizia e circoscrivere le dilazioni processuali dovute all’espletamento di questa. Uno degli aspetti maggiormente rilevanti della neo-disciplina è racchiuso periodo terzo, art. 268, comma 7 C.p.p., introdotto in sede di conversione attraverso la Legge n. 7/2020; nello specifico, la disposizione prevede che, nel caso di consenso delle parti, il giudice può utilizzare anche i c.d. “brogliacci di ascolto”, senza procedere alla trascrizione operata attraverso la perizia. Tale emendamento recepisce in maniera espressa l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza13 secondo cui anche i c.d. brogliacci di ascolto possono essere utilizzati nel giudizio ordinario ai fini della decisione, se vi è il consenso delle parti all’acquisizione di questi nel fascicolo del dibattimento14. In caso di contrasto, specifica poi la norma, si deve invece procedere nelle forme di cui all’articolo 268 comma 7 primo periodo C.p.p., quindi attraverso la perizia delle intercettazioni. Al fine di meglio determinare le modifiche attuate dalla riforma sulle intercettazioni con riferimento all’art. 270 C.p.p., risulta utile suddividere la trattazione delle modifiche che sono intervenute sulle intercettazioni “tradizionali” da un lato, e quelle inerenti alle intercettazioni operate con il c.d. trojan horse dall’altro. Il punto di partenza, nonché punto in comune, delle due analisi è da ricercarsi nelle plurime pronunce rese dalla Corte Costituzionale aventi ad oggetto il diritto costituzionalmente garantito ex art. 15 Cost. Chiamata ad esprimersi proprio in relazione alla questione di costituzionalità dell’art. 270 C.p.p., la Consulta nella Sentenza n. 336/1991 ha delineato i caratteri essenziali del diritto di libertà e di segretezza, marcandone l’inviolabilità sotto un duplice profilo; come si legge nella Sentenza menzionata, il valore espresso all’art. 15 Cost. non può essere oggetto né di revisione costituzionale né di limitazione o restrizione da alcuno dei poteri «se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante». L’inviolabile diritto ad una comunicazione libera e segreta risulta strettamente connesso al «nucleo essenziale dei valori di personalità» posto a fondamento della garanzia per l’uomo di esistere e svilupparsi secondo i postulati della dignità umana. Per le ragioni poc’anzi espresse, la Corte Costituzionale giunge ad affermare che solo l’atto autorizzativo dell’autorità giudiziaria «puntualmente motivato» può legittimare un mezzo di ricerca della prova così fortemente invasivo della privacy di un soggetto, quale è lo strumento delle intercettazioni. La motivazione dell’atto che autorizza le intercettazioni vincola di fatto le operazioni sia per quanto attiene ai soggetti sottoposti a tale controllo, che ai fatti costituenti reato per i quali sono state disposte, elidendo così la minaccia di “autorizzazioni in bianco” lesive del bene tutelato ex art. 15 Cost. . Queste sono le principali ragioni espresse dalla Consulta per dichiarare infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 270 C.p.p., quale disposizione attuativa e non lesiva dei principi costituzionali relativi all’art. 15 Cost.. Verranno di seguito analizzate le modifiche relative a tale disposizione, attuate dalla riforma sulle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni.