reati edilizi e termine di prescrizione

Per definire l’esatto momento da cui conteggiare la decorrenza del termine di prescrizione del reato edilizio, occorre prima stabilire la natura di tale fattispecie penale. Quindi, sarà necessario stabilire se la contravvenzione prevista dall’art. 44 del T.U. dell’edilizia possegga le caratteristiche del reato permanente o abbia la natura di reato a consumazione istantanea. In linea generale, il reato permanente si può rinvenire in quelle situazioni in cui l’offesa al bene giuridico tutelato dall’ordinamento si protrae nel tempo, in virtù di una condotta persistente e volontaria; le Sezioni Unite lo hanno definito come quella particolare ipotesi «per la cui esistenza la legge richiede che l’offesa al bene giuridico si protragga nel tempo per una durata che è legata alla persistente condotta volontaria del soggetto agente». I reati istantanei, invece, sono quelli in cui il momento consumativo è racchiuso e si esaurisce in un breve lasso di tempo. La corretta qualificazione della natura istantanea o permanente degli illeciti edilizi è stata oggetto di contrasto giurisprudenziale, questo è ormai ritenuto superato grazie anche diverse pronunce che si sono susseguite negli ultimi anni. Più specificatamente, la III Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n.7889 del 4 marzo 2022, è intervenuta per chiarire la natura e la tipologia dei reati edilizi, illustrando che «le violazioni della normativa tecnica hanno natura di reato permanente, mentre i reati relativi all’omissione della presentazione della denuncia dei lavori e dell’avviso di inizio lavori hanno natura di reati istantanei». La Suprema Corte aggiunge, inoltre, che la contravvenzione che punisce l’esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza di permesso, contenuta nell’art. 44, co. 1 lett. b, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico edilizia), riveste carattere di reato permanente e che, pertanto, la consumazione perdura fino alla cessazione dell’attività abusiva. L’art. 157 del codice penale, com’è noto, contiene la disciplina generale dell’istituto della prescrizione, prevedendo che il tempo in cui un reato si prescrive dipenda dalla pena massima stabilita dal legislatore per quella particolare fattispecie. In ogni caso, però, come previsione generale, è fissato un termine di prescrizione in sei anni per i delitti e in quattro anni per le contravvenzioni. Nell’ipotesi in cui sia iniziato il procedimento penale e si siano verificate una o più ipotesi di interruzione del corso della prescrizione, ex art. 160 c.p., il termine ordinario previsto dall’art 157 c.p. sarà aumento di un quarto, arrivando, quindi, a cinque anni. Trascorso tale periodo senza che sia intervenuta una sentenza irrevocabile, si ritiene vada a cessare la pretesa punitiva dello Stato e, di conseguenza, interviene la causa estintiva del reato. Pertanto, riveste particolare importanza, ai fini del calcolo del termine di prescrizione, l’esatta individuazione del c.d. dies a quo, cioè l’elemento principale al fine di stabilire il momento della cessazione della consumazione del reato e, di conseguenza, calcolare il termine di prescrizione del reato. Per quanto riguarda i reati permanenti, il tempus commissi delicti del reato è quello in cui si pone in essere l’ultimo atto della condotta permanente. Nei reati edilizi il giorno da cui far decorrere il termine di prescrizione non è di immediata ed intuitiva individuazione; per tale motivo diverse sono state le pronunce dalle Corte di Cassazione per indicare precisamente il dies a quo. In linea generale, la giurisprudenza ritiene che il termine di prescrizione del reato edilizio possa decorre in diversi momenti:

  • ultimazione dell’opera abusiva
  • desistenza volontaria dai lavori
  • intervento dell’autorità con obbligo di interruzione dei lavori / sequestro
  • sentenza di primo grado, se i lavori proseguo anche durante il procedimento penale

Il primo requisito richiede che «l’ultimazione dell’opera coincida con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi. Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale, che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità» e, altresì, «le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti. Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell’abitazione». Non sono sufficienti, invece, la materiale utilizzazione dell’immobile e l’eventuale attivazione di utenze al fine di dimostrare l’effettiva funzionalità dell’immobile, trattandosi di circostanze che non eliminano del tutto la possibilità di proseguire l’esecuzione di opere, né dimostrano la definitiva cessazione dei lavori. Ai fini della dimostrazione della desistenza dei lavori, invece, la Supreme Corte richiede che l’interruzione «dalla prosecuzione dell’intervento abusivo, deve essere definitiva e non soltanto temporanea, e richiede, necessariamente, di essere efficacemente dimostrata attraverso dati obiettivi ed inequivocabili, non potendosi basare su mere attestazioni, poiché, diversamente, ogni interruzione dei lavori, anche se dovuta a circostanze contingenti, potrebbe essere utilizzata per rappresentare una più vantaggiosa collocazione temporale dei lavori abusivi». Nel caso in cui si voglia invocare, per la prima volta, la prescrizione nel corso del giudizio di Cassazione sarà onere della difesa produrre riscontro alle proprie «affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato è stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti né smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo» . Nell’ipotesi in cui vengano, invece, eseguiti degli ulteriori lavori su un manufatto abusivo che non sia stato sanato o condonato, ci si troverà dinnanzi alla commissione di un nuovo reato punito sempre dall’art. 44, co. 1 lett. b, del D.P.R. 6 giugno 2001, escludendo quindi un possibile ne bis in idem. La Corte ha, infatti, chiarito che i «lavori edilizi che interessino detti manufatti, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente». Quindi, «qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente».