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riparazione per ingiusta detenzione

La riparazione per l’ingiusta detenzione è un rimedio specifico atto a compensare in chiave solidaristica il pregiudizio patito da chi abbia subito una ingiusta limitazione della propria libertà personale.

In attuazione della specifica previsione costituzionale secondo la quale “la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari” (art. 24, ultimo comma, Cost.), si è reso necessario introdurre nel codice di procedura una regolamentazione ad hoc, contenuta negli artt. 314 e 315 c.p.p. Oltre che dalla Corte Costituzionale, il diritto alla riparazione per la ingiusta detenzione è riconosciuto anche da fonti internazionali e, specificatamente, sia dalla Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) firmata a Roma nel 1950 (che all’art. 5 prevede che ogni persona vittima di arresto o detenzione illegali, in quanto realizzate in violazione di uno degli articoli contenuti nella Convenzione medesima, abbia diritto ad una riparazione), sia dal Patto Internazionale sui diritti civili e politici firmato a New York nel 1966 (che all’art. 9 dispone che chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali ha diritto ad una riparazione).

Nel nostro ordinamento è stato introdotto solo con il codice attuale, in esecuzione della direttiva della legge delega; esso spetta per il sol fatto della ingiustizia formale o sostanziale della custodia, senza che sia necessario alcun previo accertamento in ordine all’eventuale fatto illecito dell’Autorità giudiziaria.

Si tratta di un rimedio specifico atto a compensare in chiave solidaristica il pregiudizio patito da chi abbia subito una ingiusta limitazione della propria libertà personale.

Esso non copre ogni indebita restrizione della libertà personale, bensì solo quella inerente la custodia cautelare; rileveranno, quindi, la custodia in carcere, quella in luogo di cura, gli arresti domiciliari (stante la loro equiparazione alla custodia cautelare); rilevano, infine, per espressa previsione normativa (art. 313, comma 3) anche le misure di sicurezza illegittimamente disposte in via provvisoria.

Non è, invece, previsto alcun indennizzo nel caso di misure coercitive non custodiali o di misure interdittive;

al riguardo, in dottrina le maggiori perplessità sono state sollevate avuto riguardo alla misura dell’obbligo di dimora, soprattutto se accompagnata al divieto accessorio di allontanarsi da casa per molte ore del giorno, stante la carica fortemente afflittiva della stessa in termini di limitazione della libertà personale.

Secondo quanto disposto dall’art. 314 c.p.p., il diritto alla c.d. equa riparazione, cioè a un indennizzo in denaro ovvero, tenuto conto della natura del danno e delle condizioni dell’avente diritto, ad una rendita vitalizia, oppure ancora all’accoglienza in un istituto a spese dello Stato, spetta:

  • a chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, relativamente alla custodia cautelare subita, a condizione che non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (c.d. ingiustizia sostanziale) (art. 314, comma 1, c.p.p.);
  • al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile, sia stato accertato che il provvedimento dispositivo della misura è stato emesso o mantenuto in assenza delle condizioni di applicabilità normativamente previste (c.d. ingiustizia formale) (art. 314, comma 2, c.p.p.);
  • a chi abbia ottenuto un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere, applicandosi anche in questo caso quanto previsto ai due commi precedenti (art. 314, comma 3,c.p.p.).

A seguito della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale di questo articolo, affermata con la sentenza del 25/07/1996, n. 310, è stato riconosciuto analogo diritto anche al condannato per la detenzione ingiustamente subita a causa di un erroneo ordine di esecuzione.

La Consulta è, inoltre, intervenuta anche con altre pronunce ad allargare le maglie della portata della norma:

1) la prima pronuncia, del 02/04/1999, n. 109, con la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale di questa norma

– sia nella parte in cui il comma 1 non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a una equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare;

– sia nella parte in cui il comma 2 non prevede che lo stesso diritto, nei medesimi limiti, spetti al prosciolto per qualsiasi causa, o al condannato che, nel corso del processo, sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida;

2) la seconda, del 20/06/2008, n. 219, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa norma nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto alla equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.

3) con sentenza di rigetto (16/07/2004, n. 230), la Consulta ha riconosciuto il diritto alla riparazione nel caso di proscioglimento per violazione del ne bis in idem, in quanto esso implica l’implicito riconoscimento della illegittimità della misura cautelare sofferta nonostante la preclusione del giudicato.

4) infine la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alla riparazione nel caso di proroga di una misura cautelare di cui sia stata riconosciuta la tardività (Cass. pen. 27/05/2005, n. 26783) e di detenzione protratta oltre il termine previsto dalla legge (Cass. pen. 10/10/2000, n. 3346).

Il diritto alla riparazione è, invece, sempre escluso:

  • per la parte di custodia cautelare computata ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo;
  • quando con il provvedimento di archiviazione o con la sentenza è stato affermato che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, stante l’intervenuta abrogazione, per la parte di custodia sofferta prima della abrogazione medesima.

Per ottenere il riconoscimento di tale indennizzo, è necessario che il soggetto non abbia dato, o concorso a dare, causa alla misura custodiale con dolo o colpa grave; l’assenza di una indicazione puntuale, da parte del legislatore, del significato da attribuire a tale locuzione, ha fatto sì che si producessero difformi soluzioni giurisprudenziali che – dilatando i confini di questi concetti – hanno correlativamente ridotto l’ambito di applicabilità della norma (ad esempio, è stato ritenuto integrante la colpa grave, con conseguente esclusione del diritto all’indennizzo, il comportamento silenzioso o mendace su circostanze ignote agli inquirenti – Cass. pen. 09/11/2017, n. 51084, così come le frequentazioni imprudenti o ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, Cass. pen. 27/02/2015, n. 8914).

La domanda è presentata, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, a pena di inammissibilità,

entro due anni da quando:

  • la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile;
  • la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile;
  • è stato notificato il provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato ex comma 3 dell’art. 314 c.p.p.

L’entità della riparazione non può comunque eccedere i 516.456,90 euro.

Infine, si applicano, in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario.