lottizzazione abusiva

Il reato di lottizzazione abusiva si realizza mediante condotte anche materiali quali una modificazione edilizia od urbanistica dei terreni, in una zona non adeguatamente urbanizzata, la quale conferisca ad una porzione di territorio comunale un assetto differente, che venga posta in essere senza autorizzazione, ovvero in totale difformità dalla stessa, ed in violazione delle prescrizioni stabilite dagli strumenti urbanistici vigenti od adottati, e tale da poter determinare l’insediamento di abitanti o lo svolgimento di attività, con conseguente necessità di predisporre od integrare le opere di urbanizzazione (Cass. Pen., sez. III, sentenza 30 aprile 2004, n. 20390). La nozione di lottizzazione abusiva è duplice, cioè sostanziale e formale, e la prima fattispecie ben può configurarsi indipendentemente dalla circostanza che la lottizzazione sia o meno autorizzata. Quando il giudice, dunque, ravvisa l’esistenza di un’ipotesi di lottizzazione abusiva – pur in presenza di un’autorizzazione rilasciata ex art. 28 della L. n. 1150/1942, che però risulti in contrasto con previsioni di legge o di piano – non opera alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo, ma si limita ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché, una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione considerata e la normativa urbanistica, giunge all’accertamento dell’abusività della lottizzazione prescindendo da qualunque giudizio sull’autorizzazione (Cass. Pen., SS.UU., sentenza 28 novembre 2001, n. 5115). La trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che dà luogo a lottizzazione abusiva può essere realizzata conferendo un diverso assetto ad una porzione di esso, con modalità non consentibili neppure attraverso la predisposizione di un piano attuativo, (..) ponendo cioè in essere un’attività finalizzata ed idonea a snaturare la programmazione dell’uso del territorio stesso quale delineata dallo strumento urbanistico generale, sicché deve ritenersi inconferente ogni riferimento all’incidenza delle nuove costruzioni sullo stato di urbanizzazione esistente. Un titolo abilitante eventualmente sopravvenuto legittima soltanto l’opera edilizia che ne costituisce l’oggetto, ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica. Pertanto anche il rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nell’area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita un’attività che tale non è: la concessione non ha, infatti, una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio (Cass. Pen., sez. III, sentenza 5 marzo 2008, n. 9982). Il legislatore, affermando nell’ultimo comma dell’articolo 18 della L. n. 47 del 1985, riprodotto nell’ultimo comma dell’articolo 30 del testo unico dell’edilizia, che «le disposizioni di cui sopra» ossia quelle dei precedenti commi, non sono applicabili, tra gli altri atti ivi menzionati, alle divisioni ereditarie, non ha inteso escludere in assoluto la configurabilità di una lottizzazione cartolare in presenza di un atto di divisione ereditaria, ma ha voluto solo statuire che a tali atti giuridici non sono applicabili gli indici sintomatici della lottizzazione di cui al primo comma dell’articolo 18. Il legislatore ha ritenuto che la natura familiare di tali divisioni le ponesse al riparo da quell’intento speculativo proprio di colui che vuole realizzare una lottizzazione. In realtà anche una divisione ereditaria può mascherare una lottizzazione abusiva cartolare. In tal caso, però, l’intento lottizzatorio, quando la divisibilità è consentita dalla legge e non è incomoda, non si può desumere dal semplice frazionamento, che può essere determinato esclusivamente dalla necessità di sciogliere la comunione ereditaria, ma occorre un quid pluris che evidenzi la volontà di lottizzare (Cass. Pen., sez. III, sentenza 28 settembre 2005, n. 38632).