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ordine di esecuzione

L’art. 656 c.p.p. rappresenta una transizione procedimentale dalla fase cognitiva, che si conclude con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, alla fase esecutiva, nella quale si procede alla messa in esecuzione della pena.

L’ordinamento processuale conferisce al P.M. il dovere di emettere l’ordine di esecuzione nei confronti del condannato con sentenza passata in giudicato, specificando gli sviluppi del procedimento a seconda se il condannato sia libero o detenuto.

Nel primo caso, infatti, ai sensi del comma 5 della disposizione in parola, laddove la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena non è superiore a quattro anni (o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del D.P.R. n. 309), il P.M., salvo che ricorrano le ipotesi contemplate ai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione.

In tal senso, entro 30 giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione e del decreto di sospensione, il condannato potrà presentare istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.

Ove invece la pena da eseguire risulti superiore ai limiti previsti dall’ordinamento, ovvero abbia ad oggetto fattispecie criminose di particolare gravità (di cui all’art. 4 bis O.P.), il condannato verrà raggiunto da un ordine di esecuzione immediatamente esecutivo; dovrà successivamente, da detenuto, avanzare richiesta di misura alternativa (affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà) al Tribunale di Sorveglianza.