minorata difesa

La minorata difesa è una circostanza aggravante comune che si configura, ex art. 61 co. 1 n. 5, allorquando il reo ha commesso il reato approfittando di una situazione di debolezza della persona offesa, debolezza generalmente connessa al tempo, al luogo, o ad una particolare condizione di vulnerabilità della vittima stessa, tale, cioè, da ostacolare in modo effettivo e concreto la difesa privata o pubblica e dei quali, dunque, il reo si è approfittato nella prosecuzione e commissione del reato.

In altre parole, si parla, all’evidenza, di una circostanza aggravante la cui sussistenza rende la condotta del reo particolarmente riprovevole e, pertanto, “meritevole” di un aggravio sanzionatorio.

Gli esempi di situazioni in cui può venire in risalto, ai fini della contestazione, la minorata difesa sono innumerevoli; si pensi ad esempio al ladro che approfitti di un anziano per sottrargli un portafogli, o al furto commesso ai danni di una persona che, a causa di un malore, è svenuta o, ancora al truffatore che si avvantaggi di una qualche disabilità della vittima per mettere in atto il reato preordinato.

L’istituto in questione, infatti, qualificandosi come circostanza aggravante comune è applicabile ad una serie copiosa di reati previsti dal nostro codice penale; di fatto, fortemente discussa la relazione tra tale circostanza e la fattispecie criminosa del furto semplice (ex art. 624 c.p.).

Come è risaputo, nella sua essenza, il delitto di furto è una forma di impossessamento che diviene contra ius ove realizzato mediante sottrazione di una cosa mobile altrui, con l’obiettivo di trarne profitto (per se o per altri) ed è all’uopo la forma più comune e diffusa di delitto contro il patrimonio.

Proprio in relazione al furto, la recente Giurisprudenza (Cass. Pen. sent. n. 20480/18 – ribadita anche di recente) ha stabilito che la commissione di detto reato nelle ore notturne, integra la fattispecie considerata dall’art. 61 co. 1 n. 5, a causa della ridotta vigilanza pubblica e in considerazione dell’attenuata possibilità di sorveglianza da parte dei cittadini privati. Con ciò non ci si limita a considerare la commissione di un reato nelle ore notturne l’unico motivo di applicazione dell’aggravante in parola, dal momento che si considera sussistente la minorata difesa in presenza di circostanze ed elementi tali da porre concretamente in modo effettivo il soggetto pubblico o privato in una posizione sproporzionata rispetto al reo, ossia in una posizione di vulnerabilità e svantaggio.

In altri termini, trattasi di una circostanza avente natura oggettiva, consistente nell’aver consapevolmente approfittato di favorevoli circostanze (peraltro nota al reo) utili all’agevolazione del delitto stesso.

In sostanza, stando anche ai consolidati orientamenti giurisprudenziali, non si richiede che la difesa pubblica o privata sia del tutto impossibilitata, essendo sufficiente che la stessa sia oggettivamente ostacolata. Naturalmente, affinchè possa dirsi effettivamente applicabile la circostanza in parola, è necessario che ricorrano condizioni oggettive conosciute e dunque note all’agente e di cui questi ne abbia volontariamente approfittato (si richiede, dunque, una valutazione complessiva da parte dell’organo giudicante, caso per caso, che tenga conto di tutti gli elementi disponibili ed accedibili alla fattispecie base, come l’età della vittima, l’effettivo stato di salute, l’ambiente circostante…).

Proprio in riferimento all’età della vittima del reato, la legge n. 94 del 2009 ha espressamente inserito tra le condizioni che possono essere poste alla base della valutazione circa la sussistenza della minorata difesa, l’età anagrafica della vittima.

In tal modo il Legislatore ha inteso introdurre una tutela rafforzata in favore di due particolari categorie di vittime: gli anziani e i minori, fermo restando, in ogni caso, come già anticipato, che anche l’elemento anagrafico vada assolutamente analizzato e valutato in modo attento, potendosi integrare la circostanza in parola solo ove l’età comporti effettivamente, nel caso concreto, un ostacolo o comunque una diminuzione della difesa della vittima o una diminuzione della difesa pubblica che si può offrire alla stessa.

Al riguardo, negli ultimi periodi la Corte di Cassazione a S.U. è tornata a pronunciarsi (Cass. pen. sent. n. 8266 del 09/03/2022) in riferimento ad uno specifico e delicato caso, cercando di rispondere ad un interrogativo sollevato nei dibattiti giurisprudenziali, ossia se l’età avanzata della vittima debba intendersi automaticamente causa di addebito della circostanza aggravante prevista dall’art. 61 co. 1 n. 5.

Il fulcro, come vedremo a breve, su cui la Suprema Corte è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi è stato in particolare in merito alla sussistenza o meno di una presunzione assoluta (solo in virtù dell’elemento oggettivo dell’età avanzata della vittima) o relativa (altresì, sulla scorta di ulteriori elementi probatori) ai fini della configurazione della circostanza aggravante della minorata difesa.

Con la sentenza del 11/02/2019, il Tribunale di Milano, all’esito di un giudizio di abbreviato, condannava il prevenuto alla pena di 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del delitto di tentata truffa aggravata, ai senti dell’art. 640 comma 2 bis c.p.

La pronuncia del Giudice di Prime cure veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, la quale, tuttavia, confermava la sentenza di I grado. L’imputato, allora, ricorreva dinanzi alla Suprema Corte, impugnando la sentenza emessa deducendo due motivi:

1) violazione di legge circa la ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 c.p. (veniva rilevato come la Corte d’Appello avesse riconosciuto tale aggravante, senza, tuttavia, sufficientemente motivare nel merito e senza operare alcun riferimento alle evidenze probatorie offerte dalla difesa circa gli elementi fattuali attestanti la totale lucidità della persona offesa);

2) difetto di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.

Sulla scorta di tali motivi, la Corte di Cassazione riteneva, tuttavia, di rigettare il ricorso, osservando come il primo motivo (oggetto di nostro specifico e maggiore interesse) fosse, complessivamente, al pari del secondo, manifestamente infondato.

In particolare, in riferimento al primo motivo adotto, il Collegio richiamava le argomentazioni contenute in una precedente pronuncia emessa dalle S. U. della medesima Corte (cfr. Cass. pen., s.u., n. 40275 del 15/07/2021) in materia di “presupposti necessari ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa”.

Nello specifico, veniva ricordato come l’art. 1 comma 7 della legge 15 luglio 2009 n. 94, recante “disposizioni in tema di sicurezza pubblica”, conformemente al maggioritario indirizzo giurisprudenziale precedentemente formatosi, avesse introdotto, all’interno dell’art. 61 n. 5, il riferimento all’età della vittima, inserendo le parole “anche in riferimento all’età”.

Tale novella, seppur apparentemente priva di intrinseche dubbiosità, ha portato alla luce una nuova problematica ovvero stabilire se il riferimento all’età della persona offesa dal reato comportasse l’integrazione in modo automatico della circostanza aggravante in parola, in esclusiva considerazione del suindicato elemento oggettivo, o se invece il legislatore del tempo avesse voluto introdurre una presunzione relativa di minorata difesa dell’età della vittima.

Ad avviso di un orientamento che, per molto tempo, ha dominato sulla scena giurisprudenziale di legittimità (si pensi alla sentenza Cass. pen. Sez. II del 23/09/2010 n. 35997 – Cass. pen. Sez. V n. 38347 del 13/07/2011), l’età avanzata della vittima non era in grado di integrare una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della persona offesa, dal momento che devono essere valutate altre situazioni, tra cui la particolare vulnerabilità dell’anziano, la sua scarsa lucidità o capacità di orientamento, con la conseguente agevolazione della condotta criminosa dell’agente.

Come cristallizzato dalla Suprema Corte (Cass. pen. n. 27865/2020) “l’età avanzata che, sulla base di massime di esperienza, risulta associata ad una minore reattività fisica e cognitiva e rileva dunque nei reati che richiedono un’interazione diretta con la vittima, un “indice relativo” di vulnerabilità che deve essere sottoposto ad un vaglio giudiziale che ne confermi o svaluti la rilevanza. Il processo di invecchiamento non è infatti omogeneo e , mentre alcune persone possono avere un rapido (persino anomalo) decadimento cognitivo, altre possono mantenere lucidità e capacità reattiva a lungo nonostante l’incedere dell’età; meno discontinuità si rinvengono nella perdita di “reattività fisica”, inevitabile con l’incedere dell’età. Ricondotta l’età avanzata ad indice non assoluto, ma relativo di vulnerabilità, sarà compito del Giudice di merito valutare se nella interazione con l’autore del reato l’età della vittima abbia svolto un ruolo agevolatore a causa del decadimento fisico o cognitivo dell’offeso”.

In senso contrario, si è espresso, tuttavia, un differente indirizzo giurisprudenziale di legittimità (Cass. pen. 12796 del 21/02/2019) ritenendo come, in relazione ai soli reati che presuppongono un’interazione tra soggetto agente e vittima (nel caso di specie si parlava di furto con strappo) per l’integrazione della circostanza aggravante in parola, l’agevolazione della condotta delittuosa, derivante dall’età avanzata della persona offesa, fosse intrinseca, non gravando sul Giudice di merito alcun ulteriore onere probatorio e motivazionale rispetto all’elemento oggettivo dell’età della vittima.

A metà strada tra questi due orientamenti, si è posta una linea di pensiero ( si pensi alla sentenza Cass. pen. 43285/2019) che è stata in grado di bilanciare i principi opposti sulla base dei primi due indirizzi, stabilendo che la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 non poteva essere effettuata solo in relazione all’età avanzata delle persone offesa bensì, a seconda delle diverse fattispecie, valorizzando, ad esempio, la circostanza di temporaneo isolamento delle vittime, di uno stato di malattia, di una pregressa conoscenza o di appartenenza comune ad un determinato gruppo.

Richiamando gli appena esposti rilievi circa il dibattito giurisprudenziale sorto in materia di minorata difesa, gli Ermellini con la pronuncia del 09/03/2022 hanno affermato come i Giudici di merito non avessero riconosciuto l’integrazione della circostanza aggravante solo in ragione dell’età della vittima, bensì in virtù delle modalità di accadimenti e delle generali condizioni di fragilità della già menzionata. Segnatamente, i Giudici avevano correttamente osservato come la vittima avesse fissato l’appuntamento “ignara che si trattasse di una possibile truffa”, aggiungendo come le modalità della condotta criminosa fossero finalizzate a ricavare vantaggio dall’età nel senso di solitudine della persona offesa.

In conclusione, dall’analisi di tale pronuncia di legittimità emerge come sia ancora incerta, all’interno della stessa Suprema Corte, rispetto alla configurazione, automatica o meno, della circostanza in parole, nell’ambito di tutte quelle condotte illecite comportanti un contatto tra agente e vittima in stato avanzato d’età.

Ciò che senza dubbio può ritenersi pacifico è come il ruolo del Giudicante assuma un significato ancor più pregnante, con un preciso onere motivazionale ai fini di un corretto decisum, soprattutto, in quei casi ove la valutazione di un mero dato anagrafico, non calato nella singola fattispecie e, pertanto, nel complessivo contesto spazio temporale, altresì probatorio, ove si sono sviluppate le azioni di reato, possa portare a giudizi eccessivamente gravosi, a seconda dei punti di vista, sia per il soggetto agente che per la vittima.

Di recente si è parlato di minorata difesa anche in relazione al reato di truffa online di  cui al 640 ter c.p.

In effetti, la sentenza della Cass. Pen. n. 1085 del 13/01/2021, si è specificamente pronunciata in ordine alla configurabilità dell’aggravante in parola in relazione alle fattispecie di truffa nelle vendite di prodotti online. Nel caso di specie che la Corte si è trovata ad esaminare, si è avuto modo di chiarire che :” sussiste l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo note all’autore del reato e della quale lo stesso abbia approfittato, nell’ipotesi delle truffe commesse mediante vendita di prodotti online, perché in tali casi la distanza tra il luogo ove si trova la vittima ( ossia l’acquirente che generalmente paga in anticipo il prezzo del bene venduto) e quello in cui si trova il soggetto attiva, determina una naturale posizione di maggior favore per quest’ultimo, consentendo, quindi, all’agente di nascondere la propria reale identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad un congruo controllo preventivo e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta”.

Tale orientamento può dirsi senz’altro condivisibile posto che, a causa della scarsità di tempo e di una maggiore comodità logistico-economica, risultano sempre più in crescita gli acquisti effettuati mediante l’uso di piattaforme internet, nella maggior parte dei casi in assenza di previ incontri vis a vis o telefonici tra le parti contraenti, e ciò indipendentemente dal dato anagrafico o dalle oggettive condizioni fisiche delle persone offese.