dolo e colpa

Tradizionalmente la distinzione tra dolo e colpa riposa nell’elemento della volontà.
Il delitto doloso è quello voluto (secondo l’intenzione); il delitto colposo è quello non voluto (contro l’intenzione).
Si precisa altresì che nella colpa l’evento non è mai voluto, semmai solo previsto (e non sempre, perché nei casi di cosiddetta colpa incosciente, in realtà, l’evento non è neanche previsto dall’agente).
Dolo e colpa sarebbero cioè concetti simmetrici: “la colpa è l’esatto simmetrico negativo del dolo” scrive Mantovani.
Ulteriore distinzione la si pone in relazione alla colpevolezza. Il dolo cioè sarebbe la forma più grave della volontà colpevole, nel senso che sarebbe un elemento psicologico di maggiore gravità. Se la colpevolezza è un giudizio di rimprovero, si è detto, questo è massimo nel delitto doloso, mentre è di minore intensità nel delitto colposo.
La colpa è quindi la forma meno grave di colpevolezza, nel senso che il dolo rappresenta una volontà criminale più grave, la colpa invece è un atteggiamento psicologico che presenta un minore disvalore sociale.
Per lungo tempo il ruolo del delitto colposo nel sistema penale era quindi relegato in subordine rispetto al dolo, non solo per i motivi appena detti, ma anche perchè il numero dei reati colposi era sicuramente meno rilevante rispetto a quello dei reati dolosi.
Attualmente questo atteggiamento dottrinale è cambiato, grazie a vari fattori e taluno addirittura considera più importante e più grave la figura del reato colposo rispetto a quella del reato doloso.
Attualmente l’orientamento tradizionale, assolutamente prevalente e incontrastato fino a circa 30 anni fa, è stato messo in discussione, fino a produrre un vero e proprio cambiamento nell’atteggiamento sia dottrinale che giurisprudenziale; questo cambio di atteggiamento è stato determinato da vari fattori, che analizzeremo nei prossimi paragrafi, talmente incisivi che attualmente taluno considera addirittura più importante e più grave la figura del reato colposo rispetto a quella del reato doloso.
Da una parte c’è un motivo che potremmo definire naturalistico, nel senso che è aumentato a dismisura il numero dei reati colposi, perchè la società attuale è talmente complessa che ormai le occasioni di possibile verificazione dei reati colposi sono frequentissime.
Si pensi al numero delle automobili circolanti, oggi talmente elevato che è altissima la possibilità di causare un incidente, pur con tutta la buona volontà di evitarlo; si pensi poi ai progressi della tecnica, che rendono molto frequente il rischio di reati (ambientali o di altro tipo) collegati all’uso di macchinari sofisticati e moderni.
Si pensi al settore della responsabilità professionale, medica in particolare. Si tratta di una tipologia di reati assai frequente, in cui domina incontrastata la figura del reato colposo.
Per questo motivo non è sbagliato dire che nella società attuale il fenomeno del reato colposo risulta essere più importante rispetto a quello del reato doloso.
Inoltre, come giustamente sottolineano alcuni autori, è sbagliato pensare che quello colposo rappresenti una forma di delitto meno grave rispetto a quello doloso e quindi sanzionabile in modo più blando. Questo è un punto di vista classico, ma che, come sottolinea Mantovani, tiene poco conto della pericolosità di certe condotte: perché nel delitto colposo, se minore è la colpevolezza (nel senso che minore è la volontà di provocare l’evento) non è necessariamente minore la pericolosità sociale dell’autore. Colui che corre sempre a velocità altissima sulle strade della città, mettendo continuamente a repentaglio la vita di quelli che incontra, non è meno pericoloso per la società di colui che uccide una persona per vendetta, o magari per sbarazzarsi di un amante odiato. Entrambi i soggetti sono pericolosi e costituiscono, per usare l’espressione di Mantovani, una specie di bomba sempre innescata che può esplodere contro chiunque. Alcuni delitti colposi sono pertanto addirittura molto più gravi della corrispondente fattispecie dolosa; colui che investe lo sterminatore della sua famiglia, uccidendolo, rappresenta talvolta un pericolo minore per la società, e deve considerarsi meno abietto dal punto di vista morale di colui che ha l’abitudine di sfrecciare a 200 all’ora per le vie della città, e in vita sua ha già provocato vari incidenti mortali colposi.
Esiste poi un motivo di teoria generale, e quindi imputabile principalmente all’atteggiamento della dottrina. Molti autori, infatti, sono oggi propensi a considerare la colpa non un elemento soggettivo di grado inferiore al dolo, ma un requisito idoneo a delineare un tipo di reato a sé stante.
Il reato colposo, infatti, rispetto al reato doloso, presenterebbe elementi strutturali del tutto autonomi e peculiari, che giustificherebbero una trattazione separata dei due tipi di reato; cosicché, anziché esaminare la colpa nell’ambito dell’elemento soggettivo, la si esamina nell’ambito dell’elemento oggettivo, o si preferisce individuare una sistematica autonoma per il reato doloso e una per il reato colposo, che viene trattato a parte (e all’interno delle due categorie vengono poi individuate le sottocategorie del reato doloso di azione e del reato doloso di omissione, nonché del reato colposo di azione e del reato colposo omissivo).
A questo punto, però, bisogna chiarire in cosa consistano questi elementi di peculiarità rispetto al delitto doloso, e perché alcuni autori tendono a non considerare la colpa come un requisito soggettivo del reato.
Il punto è che, mentre il dolo ha un contenuto psicologico (nel senso che in qualche modo si ricollega alla volontà, e quindi all’atteggiamento interiore del reo) la colpa spesso non ha questo contenuto; consistendo nella violazione di una norma (specie nei casi di colpa specifica e di colpa incosciente) la colpa non si individua ricostruendo la volontà del soggetto, ma partendo da una realtà oggettiva o, potremmo dire, da una valutazione di tipo normativo. Insomma, mentre nel dolo il giudice indaga quanto il soggetto ha voluto l’evento, nella colpa il giudice valuta quanto il soggetto si è discostato dalla regola di condotta; nel primo caso effettua una valutazione psicologica, nel secondo caso normativa; il che significa che nel primo caso siamo autorizzati a parlare di “elemento psicologico” del reato, mentre nel secondo caso si tratta di un elemento oggettivo. Alcuni studiosi infatti propongono di studiare la colpa nell’ambito dell’elemento oggettivo, e il dolo nell’elemento soggettivo.
Comunque la dottrina prevalente ritiene più semplice trattare l’argomento della colpa nell’ambito dell’elemento soggettivo, anche perché gli elementi autonomi del reato colposo sarebbero veramente pochi, e comunque rivestono un ruolo del tutto marginale che non ne giustifica una trattazione separata. D’altronde, se fosse vero che il reato colposo rappresenta una forma autonoma di reato alcune parti del diritto penale, specie quella relativa ai singoli reati, dovrebbero essere trattate separatamente, il che invece non avviene mai.
Il colpo finale alla tradizionale distinzione tra dolo e colpa lo ha dato una certa dottrina (Pagliaro) evidenziando che non è la volontà a distinguere il dolo dalla colpa; molte azioni dolose sono infatti condotte in cui è impossibile rinvenire una vera volontà, esattamente come avviene in quelle colpose. Si pensi ai delitti passionali, e ai casi di dolo eventuale. Al contrario, ci sono condotte colpose in cui è ravvisabile un nucleo previsto e voluto. Si tratta dei casi di colpa impropria, ovverosia:

  • errore di fatto circa la sussistenza di una causa di giustificazione;
  • eccesso colposo nelle cause di giustificazione;
  • errore di fatto determinato da colpa;
  • infine, nella colpa cosciente, che si pone ai confini con il dolo eventuale, c’è perlomeno un nucleo della fattispecie che è voluto (Pagliaro).

Una volta crollata la distinzione tra dolo e colpa fondata sulla colpevolezza e sulla volontà, la dottrina è andata alla ricerca di un altro criterio discretivo.
In cosa si differenzia allora la colpa dal dolo?
Nel tentativo di cercare una differenza tra le due forme di elemento soggettivo, si sono battute strade alternative.
Per le cosiddette teorie psicodinamiche sia dolo che colpa hanno una caratteristica comune che non consiste nella coscienza e volontà, ma nel non aver frenato i propri impulsi antisociali.
Per Pagliaro, che porta alla logica e coerente conclusione la sua teoria formale del diritto penale e del reato, la differenza riposa invece sulla diversa tecnica di tipizzazione adottata nelle fattispecie legali.
Nel dolo il legislatore richiede che una data condotta rispetti la fattispecie tipica, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo; nella colpa il legislatore richiede gli stessi presupposti del dolo, ma con la differenza che l’aspetto soggettivo non consiste nella volontà dell’azione tipica, ma nella volontà della condotta in violazione di regole cautelari.