
10 Mag ordine di esecuzine
L’art. 656 c.p.p. rappresenta una transizione procedimentale dalla fase cognitiva, che si conclude con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, alla fase esecutiva, nella quale si procede alla messa in esecuzione della pena.
L’ordinamento processuale conferisce al P.M. il dovere di emettere l’ordine di esecuzione nei confronti del condannato con sentenza passata in giudicato, specificando gli sviluppi del procedimento a seconda se il condannato sia libero o detenuto.
Nel primo caso, infatti, ai sensi del comma 5 della disposizione in parola, laddove la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena non è superiore a quattro anni (o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del D.P.R. n. 309), il P.M., salvo che ricorrano le ipotesi contemplate ai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione.
In tal senso, entro 30 giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione e del decreto di sospensione, il condannato potrà presentare istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessaria, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione.
Ove invece la pena da eseguire risulti superiore ai limiti previsti dall’ordinamento, ovvero abbia ad oggetto fattispecie criminose di particolare gravità (di cui all’art. 4 bis O.P.), il condannato verrà raggiunto da un ordine di esecuzione immediatamente esecutivo; dovrà successivamente, da detenuto, avanzare richiesta di misura alternativa (affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà) al Tribunale di Sorveglianza.
Le norme di cui al libro X si occupano dell’esecuzione penale: ossia, le attività successive alla formazione del giudicato. Dopo aver precisato i provvedimenti suscettibili di essere mandati ad esecuzione (sentenze e decreti irrevocabili) e i soggetti protagonisti di questa fase, il legislatore disciplina l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.
Dall’art. 655 del c.p.p. all’art. 664 del c.p.p., il codice regolamenta quelle attività prettamente esecutive che rappresentano una mera ottemperanza al comando contenuto nella decisione irrevocabile. Queste attività, in quanto tali, hanno una natura amministrativa e non giurisdizionale, non avendo un contenuto decisorio in senso stretto ed attitudine a definire il processo. Ecco perché, ai sensi dell’art. 655 del c.p.p., è il pubblico ministero a curare d’ufficio e senza ritardo l’esecuzione dei provvedimenti, non appena gli perviene dalla cancelleria del giudice l’estratto della decisione irrevocabile.
In particolare, l’art. 656 c.p.p. disciplina l’esecuzione delle pene detentive.
A norma del comma 1, quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione: ossia, l’atto che costituisce il titolo esecutivo di una pena detentiva irrogata con sentenza divenuta irrevocabile.
Il comma 3 (come modificato prima dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022, e poi dal c.d. Correttivo alla Cartabia, d.lgs. n. 31 del 2024) precisa il contenuto dell’ordine di esecuzione. Nello specifico, l’ordine deve contenere le generalità e quant’altro serva ad identificare il condannato, l’imputazione, il dispositivo del provvedimento e le prescrizioni necessarie all’esecuzione, l’avviso al condannato che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, nonché l’avvertimento al condannato che, se il processo si è svolto in sua assenza, in presenza dei relativi presupposti, entro trenta giorni dalla conoscenza della sentenza, può chiedere la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato.
Il comma 1 precisa che, se il condannato non è detenuto, il pubblico ministero, con l’ordine di esecuzione, ne dispone la carcerazione. In tal caso, copia dell’ordine è consegnata personalmente nelle mani dell’interessato. Invece, il comma 2 stabilisce che, se il condannato è già detenuto, l’ordine di esecuzione deve essere comunicato al Ministero di grazia e giustizia e notificato al condannato in carcere.
Inoltre, a norma del comma 3, l’ordine è notificato al difensore del condannato.
A tal riguardo, il comma 5 dell’art. 655 del c.p.p. stabilisce che i provvedimenti del pubblico ministero, di cui è prescritta la notificazione al difensore, sono notificati, a pena di nullità, entro trenta giorni dalla loro emissione, al difensore del condannato (il difensore di fiducia o, in mancanza, quello designato dal pubblico ministero a norma dell’art. 97 del c.p.p.), senza che ciò determini la sospensione o il ritardo dell’esecuzione.
Peraltro, il comma 5 (anch’esso modificato dalla riforma Cartabia) stabilisce che, nel caso di pena detentiva breve (non superiore a tre anni o, nei casi espressamente previsti dal codice, a quattro o sei anni), il pubblico ministero dispone la sospensione dell’esecuzione. In questa ipotesi, il pubblico ministero emette l’ordine di esecuzione ed il decreto di sospensione della pena, i quali sono notificati al condannato e al suo difensore, con una serie di avvisi:
- l’avviso che, entro trenta giorni, con istanza al pubblico ministero, il condannato può essere richiesta la concessione di una misura alternativa alla detenzione (se l’istanza non è presentata o è inammissibile, l’esecuzione della pena avrà corso immediato);
- l’avviso che il condannato ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa;
- l’avviso che, se il processo si sia svolto in sua assenza, entro trenta giorni dalla conoscenza della sentenza, il condannato può chiedere la restituzione nel termine per proporre l’ impugnazione o la rescissione del giudicato.
Il comma 6 precisa che l’istanza di misura alternativa deve essere presentata al pubblico ministero, che la trasmette al tribunale di sorveglianza, il quale decide non prima del trentesimo e non oltre il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della richiesta.
Però, la sospensione dell’esecuzione non può esserci nei casi previsti dai commi 7 e 9. Infatti, il comma 7 prevede che la sospensione dell’esecuzione non può essere concessa più di una volta per la medesima condanna. Invece, il comma 9 prende in considerazione una serie di ipotesi in cui la sospensione non può mai essere concessa (ad esempio, nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva)